Stupro. Due prigioni e due libertà

di Rino Barnart
giugno 2001

"Qualsiasi donna vicino a me può accusarmi di stupro ed io finisco condannato a vita. Sono troppo giovane per farcela da solo...ho bisogno di un qualche punto di riferimento...qualcuno mi aiuti!" (ricevuta il 02/10/00)

Caro Giulio,

tu esprimi con coraggiosa schiettezza il sentimento di compressione che oggi tutti proviamo (pur se in un universale silenzio) di fronte a quel pestaggio morale antimaschile che trova nella questione dello stupro la sua arma più potente.

Ci siamo quasi dimenticati che l’umanità non ha avuto bisogno del femminismo per sapere cosa fosse e cosa sia quel delitto. Prima dell’avvento del femminismo, da millenni e da sempre l'umanità lo ha saputo. La gravità della punizione che ne seguiva variava poi a seconda dei luoghi e delle epoche, ma che cosa esso fosse è sempre stato certo, almeno nella misura in cui può esserlo ogni altro reato, con le stesse incertezze che può avere ogni gesto degli uomini ed ogni altra cosa di questo mondo.

Ma con la nuova Era femminista esso è diventato qualcosa di diverso, di radicalmente diverso. Sotto l’ombrello della richiesta di punizione certa e vera per il colpevole, da una parte, e con il pretesto di ricercarne le cause, dall'altra, allo stupro è stata tolta ogni definizione, ogni delimitazione, ogni confine.

All'abolizione di ogni definizione si è giunti progressivamente, quasi insensibilmente, attraverso un processo di cui non abbiamo avuto coscienza ma i cui passaggi ci sono ora finalmente evidenti.

Stupro era il sesso strappato alla volontà femminile con la forza o le minacce, contro un diniego espresso e dichiarato da parte di una donna che sapeva di non volerlo. Questi sono i tre caratteri che lo individuavano e che individuano ancora - necessariamente - ogni delitto, ogni crimine, ogni torto, ogni prevaricazione. Nessuno di questi tre caratteri ha più qualcosa a che vedere con lo stupro.

Dapprima il femminismo ha proclamato che l'uso della forza non è decisivo, che le minacce di un male futuro non sono indispensabili per qualificare come crimine un rapporto. Affermò così che il comportamento del maschio non ha alcuna importanza. Ma non bastò.

Era il sesso praticato contro la manifesta opposizione femminile (in gesti o in parole) ma poi il femminismo ha proclamato che la mancata manifestazione di quella contrarietà non è sufficiente a garantire che vi sia consenso.

La mancanza di diniego non è prova di consenso. Sembrò perciò che almeno il SI esplicito lo fosse, che lo dovesse essere. Ma è quel SI che mai viene annunciato con le parole perché frantuma il sogno e rompe l'incanto, quel SI gelido e diretto che le donne mai dicono perché nemico dell'incantesimo, quel SI che mai si è udito e che mai si udrà. A questo inaudito SI (che gesti e movenze sostituiscono da sempre per volontà femminile) pareva dunque affidata la verità, la certezza del consenso. L'assenso dunque non fu più affidato ai gesti ma alla parola, proprio a quella che non si ode mai. Fu così che la mancanza di esplicito consenso divenne prova di diniego. La mancanza del SI - che manca sempre - prova di stupro. Ma non bastò.

Era un coito attuato contro una donna che sapeva di non volerlo, ma - da ultimo - il femminismo ha proclamato che la sensazione femminile di volerlo e di averlo voluto non significa nulla, intendendo che dove la volontà non fu violata ciò indica che fu probabilmente carpita. Lei credeva di volerlo, ma in realtà non lo voleva. "Non pensavo che fosse stupro" è il titolo di un libro famoso dove si parla di date-rape e di acquaintance-rape. Di rapporti che la donna credeva di volere ma che in realtà non voleva. Perciò anche eventuali gesti di consenso - che possono ben sfuggire a chi non sa di non volere - anche possibili iniziative da parte della donna stessa - che crede di volere - anche il compimento di quei gesti cui anche la più accalorata affida il segnale dell' assenso, ed infine anche il SI più netto e chiaro non significano nulla, non provano alcunché. Poiché solo la volontà conta, che valore può avere il SI di chi ignora la sua vera volontà? Non esistono gesti che provino il consenso. Così è.

"Credevo di volerlo ma adesso mi accorgo che non lo volevo. Non pensavo di essere contraria e invece lo ero, io non mi rendevo conto di essere contraria, io non me ne accorsi, ma lui doveva accorgersene. Anche se io non sapevo di non volerlo, lui certamente lo sapeva" (Date-rape e acquaintance-rape).

Anche se non vi è uso della forza, dunque, anche se la contrarietà femminile non viene manifestata ed infine anche se la donna stessa - in quel momento - non sente di essere contraria, tutto ciò non significa nulla. Non è questo che qualifica lo stupro. Che altro allora?

Sembra che venga richiesto agli uomini qualcosa di inconcepibile, qualcosa di impossibile. Essi dovrebbero vedere opposizioni non manifestate, peggio, intuire nella partner contrarietà di cui la donna stessa è ignara, leggere là, nel profondo, dove essa stessa non riesce a guardare, ovvero e finalmente presumere il NO e dare - essi stessi - la prova, la dimostrazione del SI. Ma quando il SI non è volontà violata come si potrà dimostrare che non fu volontà carpita?

Così ora accade che gli uomini non sappiano mai se sono o se non sono stupratori, questa è la stupefacente verità del nostro tempo, e la presunzione di innocenza - già inconsistente per tutti noi quando siamo in tribunale per qualsiasi ragione - diventa affermazione beffarda nei processi per stupro. Una volta stabilito che esso dipende dal quel che la donna sente anziché da quel che l'uomo fa diventa chiaro che l’accusa stessa è prova di colpevolezza e questa è la ragione per cui l'intero Paese si sdegna e s'indigna quando un accusato (cioè un "colpevole") viene assolto.

Perché ora è chiaro cosa sia oggi lo stupro. E' ogni rapporto che la donna pensa di non aver voluto, non un rapporto che in quel momento non volle. E' una violazione della volontà femminile quale appare alla donna dopo, in qualsiasi momento successivo, non la prevaricazione di quella che era la sua volontà mentre il gesto si compiva. Essa non risponde della sua volontà in quel momento, né dei suoi gesti e delle sue parole, è l'uomo che risponde di quella che a lei appare ora esser stata la sua volontà di allora.La sua vera volontà di ieri fu quella che le appare oggi, la vera volontà del prima fu quella che sente dopo.

Ecco perché non possono esistere e quindi non esistono false accuse di stupro. Ecco perché ad ogni accusa deve seguire la condanna.

Già tutto questo è straordinario.

Si pretende dunque che gli uomini percepiscano l'opposizione anche quando non viene manifestata, vedano il rifiuto anche quando non traspare da nulla, lo leggano anche dietro il più inequivocabile dei gesti e, se accadesse di udirlo, il più sonoro e limpido SI?

Si pretende che gli uomini intuiscano la contrarietà anche quando la donna stessa prende l'iniziativa assumendo che quel farsi avanti da parte femminile sia in se stesso sospetto? Si pretende dunque che i maschi capiscano il rifiuto sia quando è manifesto, sia quando non viene espresso e persino quando i segnali femminili indicano disponibilità e adesione, desiderio e passione?

Si pretende dagli uomini che leggano là dove la donna stessa non giunge, capiscano quel che essa stessa non capisce, percepiscano quel che la partner non percepisce, intuiscano quel che la donna non riesce a chiarire nemmeno a se stessa, il NO?

Hai ragione Giulio, il NO è presunto, il SI indimostrabile.

Si pretende davvero tutto questo? Così sembra, ma così non è.

E' una stucchevole domanda retorica quella su come una persona possa manifestare la propria contrarietà ad un qualsiasi gesto quando essa stessa non sa di essere contraria. Troppo banale per meritare una risposta, come troppo ovvia è l'osservazione che non dovrebbe essere onere dell'imputato provare la sua innocenza. Persino beffarda suona poi la dottrina della "Cultura dello stupro". Nel momento in cui quel delitto non dipende più dal tuo comportamento come potrebbe nascere dalle tue intenzioni, dal tuo odio, dalla tua volontà di nuocere e di oltraggiare? Se il tuo stesso agire non ha più alcuna importanza come potrebbero averne le intenzioni che lo animerebbero?

Non distraiamoci con queste pedanterie e andiamo avanti.

Sembrerebbe allora che si pretenda qualcosa di diverso, che si dichiari - obtorto collo - ciò che non si vuol più ammettere e cioè semplicemente che il NO deve essere presunto, che il NO è la risposta ordinaria, normale, naturale. Sembra quasi che si dichiari qui quel che si nega altrove con sdegno e con indignazione, quel che si giura esser falso, e cioè proprio quel che sostenevano gli uomini del tempo andato (i misogini), riassunto nell'ormai impronunciabile espressione "naturale ritrosia femminile".

Possibile? E' proprio questo ciò che si vuole? Si vuole imporre agli uomini l'impossibile, si vuole che essi vedano ciò che non può essere visto e sentano quel che la donna stessa non sente?

O forse - tradendo i propri giuramenti - perché spinte da una forza incontenibile (quella di una verità profonda) si vuole far capire agli uomini che non devono credere alla proclamata parità del desiderio, al dogma della parità ormonale, e che invece è vera - benché inconfessabile - quella famigerata espressione che essi devono dichiarare falsa a parole ma assumere a base del loro agire. Che quell'antica verità deve essere oggi più di un tempo e più che mai il principio cui devono attenersi, negandola: la naturale ritrosia femminile. Il NO presunto.

Se fosse questo quel che si vuole tutto sarebbe semplice e chiaro e nulla si aggiungerebbe al quel che sempre è stato e sempre si è saputo se non il falso dogma della parità ormonale, una maschera più che un'arma, una delle mille forme di nascondimento delle profonde verità del mondo.

Ma non è così, caro Giulio, giacché non può essere così.

Come ad un qualsiasi avversario non si chiede alcunché, come dai nemici non ci si attende cosa alcuna, allo stesso modo in questo conflitto, in questa Guerra Civile - altra e inaudita - ai maschi non viene chiesto nulla, nulla assolutamente.

Non che essi vedano l'invisibile, non che capiscano l'incomprensibile e nemmeno che riconoscano per vero nei fatti ciò che deve essere dichiarato falso con le parole. Niente di simile, giacché in guerra non si chiede, si impone.

Se finalmente assumiamo che si tratta di un conflitto, di una guerra il cui obiettivo è stabilire la forma che il mondo deve avere, se capiamo finalmente che la posta in palio è il potere di decidere cosa sia bene e cosa sia male per tutti, allora vediamo con chiarezza che quelli che sembrano obiettivi sono in realtà solo strumenti.

L'abolizione di ogni definizione, il non sapere mai prima se un rapporto sia una festa o un delitto non sono l'obiettivo inconfessato ma uno strumento di quella battaglia.

Qual è allora lo scopo inconscio di quella forza che si esprime nel femminismo? Non può essere quel che esso dichiara, deve trattarsi di qualcos’altro, perché solo dagli effetti si può valutare il vero scopo di una ideologia, l'obiettivo finale di una qualsiasi utopia.

Lo scopo è mandare gli uomini in prigione? No, non può essere questo, perché gli uomini in prigione per false accuse di stupro sono comunque pochissimi e sempre pochi saranno.

Lo scopo indicibile, l'obiettivo vero si manifesta nell'effetto: e l'effetto è l’intimidazione degli uomini, la costituzione di una condizione di dipendenza morale radicale che li costringa a valutare se stessi in relazione ai giudizi femminili mai predeterminati, a condannarsi se Lei li condanna ed ad assolversi se Lei li assolve, a dipendere dal suo giudizio, a piegare la testa, a sottomettersi psico-emotivamente, a pre-condannarsi perché sono già pre-giudicati, sino a schiacciarne il diritto morale all’esistenza attraverso la costituzione del Nuovo Ordine Morale: l'impero della Colpa, della vergogna e della paura. L'intimidazione permanente.

E' vero che non solo lo stupro, ma anche l'offesa, il maltrattamento, la molestia sono oggi senza definizione in quanto lo diventano dopo - e solamente dopo - che la donna, secondo il suo successivo sentire, li avrà rubricati come tali. Perciò, come non esistono false accuse di stupro, così non esistono false accuse di offesa, di maltrattamento e di molestia. Offensivo e molesto è ciò che la donna percepisce come tale, è il suo vissuto il parametro del mondo, perciò ad ogni accusa deve seguire una condanna. Sì, caro Giulio, come tu vedi e dici, ogni relazione, ogni forma di contatto fisico o verbale è ora sub judice, strumento di intimidazione, arma di distruzione morale.

Ma è evidente che l'incontro fisico (la celebrata fusione) non poteva non diventare la prima, la più importante, la più acuminata arma di questo conflitto, strumento di ultimo ricatto e di sottomissione, spada brandita per incutere il dubbio estremo sulla natura del nostro sentire, per distruggere l'unità dei nostri sentimenti e la certezza della dignità delle nostre passioni, per spingere gli uomini in basso, sempre più in basso, sino a quando sentiranno che l’erezione in se stessa (il gesto della Vita) è oltraggiosa e violenta, ed infine, come già fu gridato, che ogni coito è uno stupro.

Sino al giorno in cui si vergogneranno di espellere con forza dai loro lombi il seme della vita.

La Colpa e la vergogna, la vergogna e la paura sino alla devastazione finale.

DUE PRIGIONI E DUE LIBERTA'

Viene finalmente alla luce una verità occulta e tanto più difficile da accettare in quanto noi stessi non possiamo, non vogliamo credere che si tratti di questo: non la prigione delle catene, ma quella della paura. Questo è lo scopo, questo l'inconfessabile delitto.

Non la sottrazione della libertà fisica a pochi con la prigione materiale, ma la sottrazione di quella psico-emotiva a tutti attraverso la cattura, l’ammanettamento, l’imprigionamento morale dell’intero genere.

Non l'incatenamento del corpo ma la schiavitù dell'Anima. Che importa a Lei del nostro corpo? Le mani sulla nostra Anima, lo stupro del nostro essere, la conquista della nostra mente. Questo è ciò che Lei vuole, questo è il suo amore.

Ma la strada della nostra libertà non può essere sbarrata. Come è vero che si può andare in prigione per cause nobili e degne, cioè da uomini liberi, così è vero che si può essere “liberi” nel corpo e ammanettati nell’Anima, per questo è accaduto e accade talvolta che siano proprio gli uomini liberi - liberi davvero - quelli che finiscono in catene.

La possibilità di finire in prigione innocenti per una falsa accusa di stupro aumenta solo di qualche punto le nostre ordinarie probabilità di finirci senza colpa, proprio perché maschi, perciò non è questo che ci spaventa.

E’ di altro che dobbiamo spaventarci: ci spaventi la sottomissione psicologica, quel consegnare il giudizio su noi stessi nelle mani dell’Altra, la subordinazione emotiva, il cedimento morale, lo schianto finale: questo ci spaventi.

Via dunque! Via da questa condizione non degna di noi, via da questa schiavitù, perché se non dipende da noi essere portati in tribunale e tradotti in prigione, subire la vergogna e la rovina, dipende invece da noi il consentire o il non consentire all’Altra di giudicarci, dipende da noi il giudicare secondo il nostro sentire quale sia il valore dei nostri gesti, dei nostri affetti e della nostra passione.

Via dunque da questo tribunale di guerra che giudica senza leggi, via dalla corte marziale morale dell'Eden Femminista.

Noi siamo il nostro tribunale e ci giudichiamo da soli. Questa è una cosa che si impara a fare col farla, ed ecco allora il nostro giudizio: non siamo stupratori ma stuprati, non violentatori del corpo altrui ma violati nella nostra Anima.

Perciò subiamo la pena materiale che segue alle false accuse come un altro rischio del nascere maschi, uno dei tanti e nemmeno il più grave, ma non la condanna, entriamo in prigione da uomini liberi ma non accettiamo di vivere “ in libertà “ con l’Anima incatenata.

Subiamo la pena, ma non il giudizio, perché ci giudichiamo da soli, ora, e questa è la nostra celeste verità: noi facciamo sesso per passione, lo facciamo per la felicità di entrambi e se da questo può derivarne la prigione, la subiremo, ma non ne seguirà mai la condanna, mai il giudizio su di noi, non ne seguiranno mai più né Colpa né vergogna.

Noi siamo i giudici di noi stessi, ora. Noi siamo il nostro tribunale ed esso ha sentenziato la libertà della nostra Anima, la libertà dalla paura.

Tra due prigioni e due libertà scegliamo dunque le sole degne di noi, da oggi e per sempre.