L'orgoglio dei vinti

di Rino Barnart
luglio 2002

Scende sul campo di battaglia per difendersi solamente chi si riconosce in pericolo. Ma, agendo a propria difesa, si confessa vincibile e mortale. Dichiara di avere paura, di temere per la propria fine. Non solo. Deve anche prendere coscienza che il nemico non si fermerà se non verrà fermato, deve riconoscerne la potenza e al tempo stesso, quale vivente tra i viventi, confessare candidamente la propria vulnerabilità. Deve abbandonare l'orgoglio vuoto ed autolesionista, l'autocompiaciuto e falso stoicismo che lo conducono alla rovina.

Riconoscersi odiati e vulnerabili, perseguitati e vinti: è questo lo scoglio. Scendere sul campo di battaglia a favore di se stessi (e per la prima volta da sempre) presuppone quell'atto originario di umiltà e insieme l'abbandono di quell'antico onore che si chiama Cavalleria. Gesti che paiono impossibili e contro i quali reagisce il profondo degli uomini, quell'idea del loro stare al mondo quale si è formata nei secoli in Occidente.

Perciò i maschi preferiscono difendere l'antico assunto, rinnovare le vecchie illusioni e proteggere l'ultimo riflesso di onore, l'ultimo spicchio di dignità apparente, trincerati nella Roccaforte dell'Orgoglio: fingere che nulla stia accadendo.

Giacché è vero che, per combattere a propria difesa, bisogna scendere dal piedistallo di quella Cavalleria che, ad onta dei dileggi e del disprezzo che l'hanno lacerata, ancor oggi li onora perché li solleva - un poco - dai bassifondi della viltà universale.

Proprio perché attorno si è fatto il deserto e non vi è più angolo verso cui volgersi senza vedersi aggrediti, invasi e sconfitti, proprio per questo stanno - gli uomini - pietrificati a protezione degli antichi stendardi. E con ragione.

Come riconoscersi vinti sapendo che non li attende l'onore delle armi ma lo sghignazzo della Vittoriosa? Non una nuova - inconcepibile, impensabile, inaudita - Cavalleria femminile, ma il colpo di grazia della Maramalda?

Cosa possono guadagnarne se non scherno e dileggio, canzonatura e irrisione? Meglio, dunque, fingere nulla.

Si sa, si sente che Lei sta in attesa di quella confessione, di quella vergognosa ammissione: l'ultimo schianto, l'estrema abiezione. "Come promesso vi abbiamo piegati, come annunciato vi abbiamo umiliati: venite dunque e finalmente a consegnarci l'anima!" E' questo ciò che li attende e dunque è ragionevole che a quest'ultima rovina, almeno a quest'ultimo oltraggio, si vogliano sottrarre. L'orgoglio. E' così che i vinti - da sempre - resistono all'estremo saccheggio del loro essere: manifestando sufficienza, ostentando indifferenza. Orgoglio.

Eppure è davvero l'uscita da quella Rocca, la fine dell'antico orgoglio, orgoglio di vinti, ciò che Lei teme più di ogni cosa, perché Lei sa, Lei sente che l'abbandono di quella bandiera avvierà l'inizio dei suoi rovesci, la fine del suo trionfo e del suo delirio. Perciò li sfida, perciò li chiama all'ultima umiliazione, perciò li invita all'estrema confessione scavando un abisso sempre più grande: affinché vi si ritraggano, affinché resistano nel loro vuoto castello. Li sfida ad uscire affinché non escano, li invita alla lotta affinché ne rifuggano. Che mai tentino una sortita! Perché sin quando staranno lassù, asserragliati a difesa di un onore ogni giorno dileggiato e di una dignità comunque ferita, saranno innocui e impotenti.

Finché gli uomini staranno a guardare dall'alto il nuovo, mai visto e grandioso spettacolo, incantati dalla mirabile potenza della Grande Signora e vergognosi di combatterla, quasi compiaciuti del male che li colpisce, gli squadroni delle Nuove Amazzoni dilagheranno nel mondo.

Così, per tema di umiliarsi saranno umiliati, per salvare l'onore saranno disonorati, per scampare alla rovina saranno rovinati. Per conservare la loro anima, la perderanno.

La perderanno?