La fine del senso

di Rino Barnart
gennaio 2001

Se per gli uomini (beninteso, gli uomini-maschi) il Senso fosse finito, chi oserebbe dirglielo? Chi oserebbe, non che gridare, anche solo sussurrar loro che quel tempo è giunto, è qui, è ora? E chi starebbe ad ascoltare parole che parlano della fine irreversibile di ogni sua importanza, di ogni suo valore, di ogni sua utilità per il domani?

Allo stato delle cose, non vedo modo più incisivo per "definire" cosa sia il Senso che darne questa sorta di prova operativa attraverso l'escamotage di una sua fittizia sottrazione, metodo più che sufficiente a segnalarne la vertiginosa importanza, come infatti si vede (o meglio, come si sente, se ci si ascolta).

Il fatto è che gli uomini non sono disposti ad accettare che il Senso sia finito, che non esista più alcuna relazione con il mondo in grado di garantir loro una durata, che il domani sia ora e finalmente tagliato di netto. Comprensibile.

Era pur sempre meglio essere carne da miniera, carne da frontiera, carne da galera che trovarsi privi di un legame con il futuro e perciò costretti ad inventare (di sana pianta?) nuove ragioni di senso, nuovi motivi per spendersi oggi e domani.

Il senso finisce quando diventi inutile, quando smetti di essere creatore e perciò non solo utile, ma soprattutto dannoso, quando il futuro non ha più bisogno di te. E la verità è che Lei, il Canale del Futuro, non ha bisogno di te, né come macchina da reddito, perché si arrangia da sola, né come fuco, perché ha imparato a clonarsi (intendo dire, auto-clonarsi). Vorresti dirti che ne hanno bisogno i figli, ma migliaia di generazioni senza padri (miniera, frontiera, galera, appunto) sono là a suggerirti che, alla fin fine, forse anche questo è falso. Vorresti dirti...vorremmo dirci qualcosa.

Ma poi ti accorgi che la fine dell'utilità è l'inizio della tua nuova era, che l'età nella quale non hai diritti apre quella in cui non avrai più doveri, che l'essere finalmente diventato superfluo per l'Altra ti rende ora utile a te stesso, che la fine del tuo valore come macchina da reddito rappresenta l'inizio di quella sognata, antica libertà che si chiama Età del Gioco. Il paradiso in terra che per te, maschio, è questo e nient'altro che questo: Esistere per Giocare.

Allora intuisci che la fine del Senso che veniva dall'Altra - da Lei - apre finalmente l'Età dell'Auto-Senso, dove tu ti dici, tu inventi chi vuoi essere e che la sentenza pronunciata contro di te diventa la tua salvezza perché ti sgancia dall'amore che veniva (sembrava venire) dall'Altra, quella che ora, non avendo più bisogno di te, non ha motivo di continuare ad amarti, quella che ora, non potendo più giudicarti, si deve limitare a condannarti.

Così l'essere inutili, finalmente inutili, si trasforma in un guadagno. Entrare senza pesi, senza orpelli nell'Era dell'Inutilità, liberi e leggeri, anzi, persino belli, come è bella ogni cosa inutile, ogni entità inservibile di questo mondo.

E così, con questa finzione letteraria, con questo nuovo cinico esercizio di auto-intimidazione, siamo andati vicini a pensare che, in fondo, se è vero che ogni guadagno presuppone una perdita è anche vero che ogni perdita ci regala un guadagno.

Questa volta il guadagno potrebbe anche superare la perdita. Chi lo sa?