Domesticazione

di Michele Vignodelli
luglio 2003

Il problema di fondo è, a mio avviso, la perdita dei riferimenti ambientali e sociali a cui i due generi della nostra specie (ma forse si dovrebbe dire tre, considerando l'eccezionale e certamente non casuale diffusione degli omo-bisessuali maschi) erano adattati prima della rivoluzione agricola e urbana. Nella classica interpretazione femminista questa svolta drammatica avrebbe enormemente avvantaggiato i maschi e penalizzato le donne, ma questo è evidentemente falso, nel senso che entrambi i generi (e anche il "terzo") hanno dovuto subire uno stravolgimento durissimo dell'ecologia mentale e fisica.

La storia scolastica narra le gesta di re, eroi, condottieri, profeti, imprenditori e dimentica facilmente i miliardi di maschi che sono stati castrati psicologicamente come capponi o resi disperatamente feroci come galli da combattimento per diventare ubbidienti servi della gleba, compunti impiegati, rabbiosi "caporali", carne da cannone, topi da miniera, ecc. ecc. Quanto alla condizione degli avidi superdominanti, rinchiusi nella solitudine della loro superbia, nell'ossessione accumulativa di cariche, denaro e potere, che li conduce a strumentalizzare ogni rapporto umano, è sicuramente la più inammissibilmente disperata di tutte. La cosa più perversa e grottesca, tanto da costituire una delle esche più subdole del Sistema urbano, è che queste povere vittime sacrificali, in preda a una vera e propria coazione autodistruttiva, sono invidiate come "nababbi" e ammirati come semidei, pur essendo totalmente escluse dai tre maggiori piaceri della vita: la contemplazione estetica, l'amicizia e l'intimità sessuale (che si basano sull'ozio creativo, sul cameratismo e sulla reciprocità affettiva, mentre rifuggono da attivismo, denaro, potere e adulazione).

I maschi sono sempre stati le vittime principali della domesticazione umana avviatasi dodicimila anni fa, anche più delle donne che pure erano formalmente condannate alla reclusione domestica se non a una vera e propria schiavitù. Tanto per cominciare le donne sono meglio preadattate allo svolgimento di compiti ordinati, metodici e ripetitivi che con la civilizzazione ha avuto uno sviluppo enorme, fino a diventare eccessivo anche per loro. Il feroce bullismo dei giovani maschi civilizzati è sempre stato l'espressione del loro profondo disagio di fronte alle richieste degli ordinati campi coltivati, della scuola, della fabbrica, dell'ufficio, dell'esercito che condannava la loro sportiva esuberanza e avventurosa creatività, anche e soprattutto in campo sessuale. Non è certo solo un fenomeno recente la stragrande prevalenza di maschi tra i carcerati, i disadattati, i ribelli, i suicidi, i paranoici.

Questa rabbia è stata però per lo più sapientemente incanalata e sfruttata dalle strutture piramidali del potere metropolitano per costituire i suoi "quadri" di ringhiosi caporali, fenomeno che ha alla sua base molte donne e molta silenziosa,"ordinata" violenza femminile (madri, maestre, professoresse, badesse). Un certo tipo di patologia maschile, in forma narcisistica ed egocentrica, veniva attivamente coltivata dalla società con una sapiente miscela di mammismo iperprotettivo e assenza cronica del padre per lavoro, per produrre il tipico esemplare di carrierista d'assalto "berluscoide": una sorta di supercaporale perversamente accattivante destinato a ipnotizzare le masse e a diventare la maggiore vittima di sé stesso (delle sue ossessioni) a maggior gloria dell'azienda, del partito, della causa, del Sistema urbano parassita.

Potrà sembrare paradossale, ma la fine del formale asservimento femminile conseguente allo sviluppo della tecnologia ha rappresentato per i maschi una parziale liberazione dalla gabbia di ferro del "bravo padre di famiglia" alla Fantozzi, tremendamente frustrato sul lavoro e costretto a subire la rabbiosa aggressività domestica di una moglie reclusa in cucina e sessualmente repressa. Ma il prezzo è stato alto, perché l'eden paleolitico resta lontano: totale negazione dell'identità maschile e femminilizzazione ossessiva dovuta all'attuale irrilevanza delle differenze tra i generi che ha reso possibile la presunta "liberazione femminile" (la libertà - leggi obbligo sociale - di diventare ciniche manager carrieriste, politici ambigui e opportunisti abbaianti sergenti maggiori, fumatrici incallite, netturbine e tante altre cose deliziose che i maschi spaventati dal bastone e allettati dalla carota si tenevano gelosamente strette).

Lo sradicamento dell'umanità dalla sua natura genetica che chiamiamo civiltà procede nella sua espansione tumorale verso l'inevitabile addomesticamento totale, che come ogni addomesticamento passa prima di tutto attraverso la castrazione. Se prima risparmiava una vistosa minoranza di "galletti da combattimento" resi feroci dalle torture infantili perché gli tornavano utili nel suo aggressivo bellicismo espansionistico, oggi tende a trasformarci tutti in grandi capponi da supermercato imbottiti di dolcetti e di estrogeni. Ricostruire un'identità maschile, ma anche autenticamente femminile, non può quindi prescindere da una critica radicale della civilizzazione urbana. Fenomeno che disegna la sua grande parabola fuori da ogni possibile controllo umano, inattaccabile a ogni riforma che non sia la facciata di un nuovo livello di asservimento dell'uomo e della natura, e a cui ci si può sottrarre solo con una consapevole evasione. Dalla prigione urbana non si esce in massa, ma solo uno per volta.