di Rino Barnart
marzo 2003
Il sacrificio boomerang
Uno degli argomenti forti messi dai maschi sulla bilancia del dare e dell’avere è il loro sacrificio nella guerra combattuta a protezione, a difesa di tutti, donne comprese. Difendendo la comunità vanno incontro alle mutilazioni ed alla morte anche e soprattutto a favore di quelle che dalla guerra sono colpite solo di striscio.
Con ciò essi tentano di rintuzzare e persino di rovesciare l’accusa femminista e femminile secondo la quale le guerre altro non sono che “palestre maschili della morte”.
Si fanno forti di questo sacrificio millenario e lo sbandierano con orgoglio e fierezza. Eppure è difficile immaginare un argomento meno consistente, una ragione che si presti con minor difficoltà ad essere usata contro i suoi ingenui sostenitori.
Le femmine fanno subito osservare, una volta tanto con logica coerente, che se è vero che i maschi muoiono da sempre a loro difesa lo fanno però combattendo contro altri maschi invasori e predatori e che in assenza di questi ladri e assassini non vi sarebbe alcun bisogno del sacrificio maschile per proteggere nessuno. Se non vi fossero maschi che invadono le patrie altrui non vi sarebbe alcun bisogno di altri che le difendano. Se non vi fossero predatori non vi sarebbe necessità di protettori ed in assenza dei vili che aggrediscono non vi sarebbe alcun bisogno di eroi che si sacrificano.
Riuscite voi a confutare questo sillogismo?
Guerrafondaie innocenti
Confondendo utilmente coloro che la combattono con coloro che la vogliono, tutti e tutte coloro che la vogliono, comprese quelle che credono di non volerla, si costruisce e si cementa l’ineffabile irresponsabilità femminile di fronte a quell’eterno crimine, a quell’universale delitto senza il quale l’Umanità (mi si passi il termine) pare non poter tirare avanti. Così, mentre gli uni sono al tempo stesso predatori ed eroi, in quel ciclico rovesciamento delle parti di cui è ordita la storia, le altre sono vittime innocenti in ogni luogo e in ogni tempo.
Prive di odio e di rancori, di paure e di interessi, di avidità e di egoismo, frugali e sempre contente del poco che hanno, piene di amore e di empatia per tutte le creature ed a maggior ragione verso quei figli, propri e delle altre che tanto sacrificio sono costati (come dimenticare le smagliature che ogni gravidanza regala?) salgono i gradini dell’innocenza per sedere sul Trono della Vittima dal quale diventa lecito ad un tempo condannare i maramaldi e deridere gli eroi, mandare all’inferno i vili e schernire i valorosi. In buona coscienza.
La penultima guerra
Fingendo di tutelarsi preventivamente contro un pericolo possibile, ancora una volta il forte va a garantirsi le risorse che gli servono per poter continuare ad essere ciò che è, a vivere come vive. A dilapidare in uno scialo scandaloso una ricchezza insostituibile per continuare a consumare, ad ingerire ed espellere, fagocitando ogni cosa con cui entri in contatto.
Tutta la materia e tutto lo spirito, se mai fosse possibile.
Sistema patologicamente declinato sulla polarità femminile, che soddisfa e crea bisogni senza fine, che ne mette al mondo pochi ma li vuole vivi in eterno, che, aborrendo la morte, idolatra le sicurezze e perciò vive nella paura.
Che ha partorito l’ideologia femminista, le filosofie femministe, l’etica femminista, creatura, questa, certo la più perfetta, la meglio rispondente, la più confacente alla sua profonda natura.
Non solo va a tentare di salvarsi, ma va ad espandersi, ad imporre manu militari il suo sistema di valori là dove le lusinghe della sua paccottiglia e gli adescamenti del suo libertinismo, falso perché mercenario, non hanno ancora trionfato. Dove le fantasmagorie della tecnica e lo sventolio delle mutandine non hanno ancora corrotto a sufficienza.
E’ per questo che i maschi oggi vanno alla penultima guerra, quella che precede l'altra che verrà. A garantire durata ed espansione a quel sistema che li ha resi inutili e ridicoli, che non ha bisogno della loro forza e non sa che farsene del loro coraggio. A cosa servono gli uomini?
Ad uccidere e a devastare, perché continui a durare, perché si espanda quell’ordine morale che già ha decretato la loro rovina.
A combattere, finalmente utili, per quel Bene che è l’origine del loro male. Il Bene che dilaga.