di Rino Barnart
Qual è, qui-ed-ora, e quale sarà la condizione morale di quel Genere che già chiama esilarante un'opera che gioca con i suoi sentimenti ed irride al suo corpo?
La storia è nota: un pugno di disoccupati di Sheffield decide di proporsi come compagnia di spoglierellisti per tirar su qualche lira inglese. Ognuno ha qualche piccola storiella collaterale: figli, ex mogli, mogli etc., qualche psico-turba esistenziale o familiare o sessuale, collegata più o meno al fatto della disoccupazione. C'è quasi il lieto fine.
- Nella tristezza di un ambiente deindustrializzato e marginalizzato, un paio di maschi disoccupati tenta goffamente di inventarsi qualche trucco per campare. Sia prima di avere la 'grande idea', che, appunto, non è nemmeno originale, quanto dopo, passano le giornate sostanzialmente bighellonando, piangendosi un po' addosso, con un misto di paura e di invidia nei confronti delle donne, che invece non sono disoccupate, ma attive e volitive.
I maschi non hanno niente dentro, una volta perso il lavoro non sanno più chi sono. Non essendo capaci di reggersi su se stessi, cadono in stato para-depressivo, e là rimangono senza esser capaci di darsi uno scatto, un colpo d'ala. Finalmente hanno cominciato ad avere paura delle donne - e questo, come si sa, è un bene. Quelle invece sanno cosa vogliono. Figuriamoci, ora fanno pipì come noi. La trovata dello spogliarello manifesta la loro mancanza di fantasia, (i maschi, si sa, pensano solo a quello), il loro scarso buon gusto, la loro incapacità di capire che le donne hanno un altro approccio alla sessualità, di livello superiore, e che non gliene frega niente di vedere piselli, che sono la nostra unica vera grande ossessione. Non manca una vena di presuntuosa vanità, tipicamente maschile, che è quella di immaginarsi interessanti, fisicamente interessanti, per l'altro sesso. La storia però può andare avanti. Infatti, pur in contraddizione con le premesse, la cosa è fattibile, perché le donne non sono più quelle di una volta, anche loro possono andare ad uno strip-tease, anche i maschi possono essere oggetto di attenzioni sessuali corporee, contrariamente alle arretrate opinioni che abbiamo noi, seduti in sala.
- Uno di loro, dopo mesi, non ha ancora informato la moglie di aver perso il lavoro, mentre la carta di credito è rimasta spendibile.
E' la classica ipocrisia maschile che deve salvare le apparenze per salvaguardare il potere-prestigio sulla moglie. Egoista, vile e impietoso lascia che lei - ignara - continui a spendere, senza pensare a come si sentirà quando scoprirà la cosa. Le prime vittime della disoccupazione sono le donne dei disoccupati, noi veniamo dopo.
- Uno, separato, deve fare qualcosa - (pagare) - per poter continuare a vedere il figlio. Si arrabatta, ma senza esito.
Si tratta del classico maschio che usa la situazione sociale per occultare - consciamente o meno - la sua inconsistenza e le sue incapacità, tanto che spera di trovare nel fatto della disoccupazione un valido pretesto per venir meno ai suoi obblighi economici. Padre goffo e incapace di capire i problemi del figlio, viene salvato dal figlio stesso da quella catastrofe della maschilità e della virilità che sarebbe il trovare occupazione prendendo ordini dalla moglie. La tracotanza maschile, la volontà di non cedere lo scettro davanti alle donne, non viene mai meno, neanche quando siamo ridotti sul lastrico.
- Un altro, l'omone buono, ormai non funziona più (en attendant Viagra®) e, per quanto capito da una moglie dotata di classe, si avvilisce in comportamenti tanto simpatici quanto infantili. Simpatici appunto perché infantili.
I maschi non amano, dominano e non sanno fare altro. Nel momento in cui il loro potere - cioè il denaro - vola via, il pisello si ammoscia. Allora diventano bambinoni di cui le donne sono costrette a prendersi cura rinnovando ancora una volta il loro ruolo di mogli e di madri, per infondere coraggio ed autostima al vero sesso debole. I maschi trovano sempre il modo di ricondurle ai ruoli stabiliti, anche la disoccupazione può servire allo scopo, come ogni altro male di questo mondo. I maschi non soffrono quanto vogliono far credere, di fatto scaricano sulle donne le loro magagne che, con un po' di buona volontà, potrebbero risolvere da soli. Non c'è forza in loro, non c'è buona volontà, non c'è equilibrio. Non c'è niente dentro. Tracotanti o inetti, stupratori o impotenti.
- L'allestimento dello spettacolo.
Le difficoltà e lo sconcerto, l'imbarazzo ed il disagio di percepirsi in una situazione totalmente nuova, insolita tanto per gli interessati quanto per le potenziali e immaginate spettatrici, nonché la diversa condizione fisica dei temerari, la forma dei loro corpi, la gestualità, gli atteggiamenti, le posture, e poi le dimensioni, il funzionamento o meno dei relativi piselli, formano oggetto della maggior parte delle battute, delle situazioni comiche e delle scene 'divertenti'. Il corpo maschile è un protagonista del film. Immaginato nudo sin dall'inizio con la promessa della visione integrale, è oggetto delle battute più grasse, dei doppi sensi, delle scene più patetiche, alle quali le spettatrici e soprattutto gli spettatori sono chiamati a rispondere ridendo o almeno sorridendo.
Con l'inizio delle prove si avvia lo spogliarello irridente del corpo maschile, della sua forma e delle sue prestazioni, centrato sul problema della sua appendice, in fondo ridicola, presentata come unica vera ossessione maschile. Proposto in forme patetiche, il corpo maschile vi è raccontato nel solo modo politicamente corretto: informe, ridicolo e goffo. Sì, lo si può mostrare, non tanto perché sia apprezzabile in sé (certo, alla nostra vanità piacerebbe), bensì in quanto le donne sanno amare il corpo per quel che vi è al di là, (ciccione o ossuto, bello o brutto, va bene lo stesso) diversamente da come sappiamo fare noi.
C'è poi il problema delle misure. Non si può fingere che nessuno ce l'abbia grande, perché sarebbe negare l'esistenza del problema. Invece esiste: noi l'abbiamo, noi dobbiamo avere questo problema, l'unico nostro vero grande problema. Non manca dunque l'uomo dalla super-dote. D'altra parte niente è più politicamente scorretto che avere un pisello grande, cosa che alle donne non può interessare di meno, anzi, che in qualche modo le offende. Si scopre così che il super-dotato è omosessuale. Molto corretto.
E' poi politicamente corretto, anzi è necessario, che in un film ci sia un uomo di colore. C'è però quella fama, quel detto popolare che provoca la nostra più profonda paura di maschi bianchi, ed un inammissibile orgoglio nei neri. Non può essere ignorata. E' necessario ridicolizzare l'offensivo orgoglio dei maschi di colore e schernire la ridicola invidia dei bianchi. Eccoci dunque a ridere della preoccupazione del nero per le ridotte dimensioni del suo pene e dei goffi tentativi per rimediarvi. E noi che lo invidiavamo. Molto corretto.
E' un film sui maschi. Un film per i maschi, in cui siamo chiamati a ridere di noi stessi, a vergognarci delle nostre paure, ad aver paura delle nostre vergogne, a deridere i nostri sentimenti, a prendere atto del nostro egoismo, della nostra pochezza, inettitudine, mancanza di volontà. A riconoscere che, perso il potere del reddito, perdiamo la stima in noi stessi, che, se non abbiamo il potere, ossia il dominio sugli altri e sulle altre, non siamo niente. Che non capiamo né le donne né i figli.
Capiamo noi qualcosa di questo mondo?
Ma noi, in sala, vogliamo essere politicamente corretti, e sorridiamo. Qualche volta ridiamo. Eppure il sorriso è amaro ed il riso è a denti stretti. Spieghiamo questa impossibilità di ridere di cuore, a bocca aperta, con la causa dichiarata, esplicita: la disoccupazione dei protagonisti. Pensiamo che sia questo sfondo a dipingere di patetico la storia. Non ci accorgiamo che stiamo ruotando intorno a noi stessi, irridendo alle nostre difficoltà, partecipando alla svalorizzazione dei nostri sentimenti ed alla ridicolizzazione del nostro corpo.
Di battuta in battuta, di fotogramma in fotogramma, senza avvertirlo, sotto l'ombra del "patetico", scendiamo verso il fondo. Attraverso l'autocompatimento, passando per l'autoridicolizzazione, giungiamo infine a quella muta autocondanna che la Cifra del XXI Secolo ci impone. Non lo sappiamo, ma in noi una corda profonda lo sa: siamo autocompiaciuti del nostro avvilimento, in prima fila nel deridere noi stessi. Ecco perché il riso si deforma in una smorfia, ci segnala che non siamo lontani dalla frontiera dell'autodisprezzo
QUALCOSA E' CAMBIATO
E' un bel film. Parla di un maschio cattivo che diventa buono grazie a una femmina.
Che cosa è cambiato?