di Armando Ermini
febbraio 2002
La mia è la storia di un uomo che viene da Sinistra, come tanti della mia generazione. Nel fatidico 68 avevo vent’anni, e, di educazione cattolica con un forte impulso alla giustizia sociale, quello sbocco era quasi fatale.
Per me, studente di estrazione piccolo borghese, gli operai ed i proletari erano miti. Come si diceva allora, la contraddizione principale era quella fra capitale e lavoro, ed alla classe operaia era affidata l’emancipazione dell’umanità dalla schiavitù del capitale. Una classe operaia fatta di uomini duri e decisi, fieri della loro cultura, diversa e separata da quella della borghesia. Per me erano come dei cavalieri antichi, ed era scontato che fossero gli operai maschi alla testa della lotta rivoluzionaria.
La contraddizione fra i sessi rimaneva del tutto sullo sfondo, subordinata a quella principale. Personalmente non la vedevo certo come fatto politico, se non per un generico diritto femminile al lavoro e per la necessità che le donne, notoriamente schierate in maggioranza con la DC, superassero questa tradizionale subordinazione alla Chiesa.
Il primo “disagio”, lo ricordo per i più giovani, venne allorquando, nei primi anni settanta, Lotta Continua, la formazione di estrema sinistra più presente e influente fra i giovani, si sciolse durante un drammatico congresso con la parola d’ordine “il personale è politico”, con ciò intendendo che le contraddizioni dei rapporti interpersonali si intersecavano con quelle politiche. Ovviamente la più eclatante fra queste contraddizioni era quella fra maschi oppressori e femmine oppresse, contraddizione che in breve tempo soppiantò, o meglio subordinò a sé, quella fra borghesia e proletariato.
Nell’immaginario collettivo della Sinistra, prima quella extraparlamentare e poi anche quella tradizionale dell’allora PCI, piano piano si ribaltò la prospettiva. Mentre prima le donne avrebbero trovato la loro emancipazione nel socialismo, ora il socialismo avrebbe potuto trovare la sua vittoria se e quando le donne avessero conquistato “l’emancipazione e l’uguaglianza.”
Sotto la spinta di un femminismo sempre più ideologizzante, nella Sinistra tutta, tematiche e valori fino ad allora vincenti cominciarono ad essere letti in chiave diversa ed anche criticati, mentre iniziarono ad essere esaltati i punti di vista ed i valori femminili. In breve, l’identificazione fra capitalismo e patriarcato divenne un punto fermo della teoria politica di Sinistra e per la proprietà transitiva si finì per attribuire al patriarcato, e quindi al sesso maschile, tutti i mali del capitalismo: lo sfruttamento, la guerra, l’insensibilità ai diritti umani. Per esempio, la Sinistra, che non era mai stata pacifista se non strumentalmente in funzione antiamericana, e che invece rivendicava la lotta armata e l’uso della violenza come legittimi strumenti di lotta politica (la violenza come levatrice della storia, scriveva Marx), si trasformò in teorizzatrice di un pacifismo di principio, facendolo emergere come valore femminile in contrasto col machismo guerresco (è solo da poco che una parte importante della Sinistra si è riconvertita all’uso della forza questa volta in senso legalista e purché proveniente dagli stati “democratici “...).
Per anni, sebbene vivessi la contraddizione anche nella mia vita personale, non ho voluto vedere che ormai l’alternativa era secca: pentirsi di essere maschi, essere disposti a continui mea culpa di fronte alle accuse femminili, fare propri i loro punti di vista, oppure prendere atto della realtà.
Quando l’ho capito non ho però avuto dubbi, anche perché mi ha sempre ripugnato l’ipocrisia di quegli uomini che dall’alto dei loro scranni di potere, sparano a zero su tutto ciò che è maschile, esaltano le donne come salvatrici del mondo ma si guardano bene dal compiere l’unico atto di coerenza possibile per loro: dimettersi.
Non è stato semplice, perché si è trattato di rivisitare più di tre decenni di vita, ma la provenienza da Sinistra, col suo carico di rifiuto dei meccanismi di questa società, ha avuto, almeno per me, anche un vantaggio.
Quello di farmi percepire con chiarezza che ciò che era accaduto a “Sinistra” era nient’altro che lo sviluppo logico, fino alle sue conseguenze naturali, di elementi già pienamente presenti nel tessuto della società industriale, così come, d’altra parte, negli scritti teorici dei padri della Sinistra, il socialismo consistendo nella piena attuazione, seppure necessitante di rottura a livello sociologico/economico, delle premesse filosofiche poste dalla borghesia capitalistica.
Insomma il mio rifiuto della “Sinistra” non ha significato riflusso verso la “Destra”, così come entrambe queste categorie sono comunemente percepite, ma rifiuto radicale di un modo di concepire il mondo che le accomuna entrambe, al di là di schermaglie assai poco significative e profonde. Basti pensare, sui rapporti maschile/femminile, a quello che avviene negli USA, pesce pilota dell’Occidente, o più modestamente e provincialmente, alle posizioni delle Destre nostrane. Non a caso il “branco rosa” è trasversale, non a caso ne sono elementi di punta la Mussolini e la non mi ricordo come si chiama moglie di Ferrara, formatasi alla scuola del femminismo statunitense.
Il mio rifiuto implica dunque una estraneità a questa società ancora più radicale di prima, ed una ricerca che vuole riannodare fili tagliati molto tempo addietro, anche se l’effetto di questi tagli si è percepito solo da poco. In questa ricerca, che prima ancora d'essere intellettuale è interiore e riguarda il mio posto nel mondo e nelle relazioni cogli altri, mi sento profondamente coerente con me stesso.
E dunque combattiamola questa guerra non da noi intrapresa ma ormai improcrastinabile. Combattiamola con tutte le armi, come fa l’avversario, ma tenendo sempre presente che nostro scopo non è l’annichilimento del genere femminile, ma il riconoscimento delle reciproche diversità e funzioni, su cui fondare rapporti nei quali entrambi i sessi possano riconoscersi.
E se in questa guerra ci saranno, vivaddio, vittime metaforiche (l’onnipotenza femminile, l’ideologia del disprezzo per il maschile etc.), saranno per prime le donne vere a ringraziarci ed a collaborare.
Ad una condizione però: che noi maschi riusciamo ad esprimere quella parte migliore di noi che, diciamocelo, abbiamo spesso nascosto a noi stessi.